Carne y arena di Iñárritu: è giornalismo immersivo?

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Alejandro G. Inarritu__Photo Ugo Dalla Porta

   Vi trovate nel deserto a confine tra il Messico e la California, siete soli, senza scarpe e non sapete dove andare. A un certo punto accanto a voi compaiono alcune persone che tentano di passare clandestinamente il confine. Ma arriva subito la polizia. Armi puntate e nessuna solidarietà. E voi siete proprio lì in mezzo…

 Non possiamo raccontarvi davvero che cosa vedrete perché la sorpresa fa parte dell’esperienza. Ma sono davvero forti le emozioni che proverete prenotando un posto (una persona alla volta) a “CARNE y ARENA (Virtually Present, Physically Invisible)”, un’installazione di realtà virtuale ideata dal regista messicano Alejandro G. Iñárritu (1963), prodotta da Legendary Entertainment e Fondazione Prada. L’installazione, un viaggio con i clandestini del Messico, è stata inclusa nella Selezione Officiale del 70° Festival de Cannes. Il progetto è presentato nella sua versione completa alla Fondazione Prada a Milano negli spazi del Deposito fino al 15 gennaio 2018. Chi voglia trovare posto, deve prenotarsi con moltissimo anticipo.

Vedi l’intervista al festival Cannes in cui Alejandro G. Iñárritu spiega Carne Y Arena

Perché vedere Carne y Arena? Perché è la nuova frontiera del documentario: racconta storie ed esperienze reali, nelle quali lo spettatore è completamente calato. Non è più solo questione di empatia, quella che si prova davanti alle immagini drammatiche dei video in due dimensioni. È un’esperienza immersiva totale che fa provare le stesse emozioni, o quasi, dei protagonisti del documentario. 

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Uno spettatore di “Carne y Arena”, foto di Emmanuel Lubezki

Non si tratta di una novità: la stessa Onu ha utilizzato la realtà virtuale per sensibilizzare i cittadini e promuovere le donazioni ai profughi. In particolare, Gabo Arora, Direttore Creativo delle Nazioni Uniti, fondatore e Presidente di LightShed, start-up focalizzata sull’impatto sociale della realtà virtuale,

Arora ha lanciato Unvr, la prima app di realtà virtuale delle Nazioni Unite, e diretto una serie di documentari a 360° pensati per raccontare le principali crisi umanitarie mondiali, a cominciare da quella siriana. A questo tema è dedicato il corto “Clouds over Sidra” di cui Arora è regista insieme a Chris Milk. 

Ma la differenza tra Clouds over Sidra e Carne y Arena è immensa: nel primo caso si tratta di un documentario tradizionale, con le testimonianze dei profughi. La differenza è che, guardandolo con i visori 3D, sembra di stare nel campo profughi. Con Alejandro G. Iñárritu ci si trova nel bel mezzo di una “caccia” al clandestino. Il pathos è altissimo.

Alejandro G. Iñárritu al lavoro sul set di Carne Y Arena, foto di Chachi Ramirez

Alejandro G. Iñárritu al lavoro sul set di “Carne y Arena”, foto di Chachi Ramirez

La domanda dunque è: questo è il futuro del cinema, quello del documentario (anche di storia: perché non immaginare di ritrovarsi nel bel mezzo della battaglia di Canne o dell’assedio di Stalingrado, per non parlare dell’esplosione dell’atomica a Hiroshima) o quello del giornalismo? E suscitare più empatia aiuta davvero a rendere le persone più consapevoli e quindi anche più solidali con chi soffre e più pronte a dare una mano per risolvere i problemi mondiali? Quale che sia la risposta, Carne y Arena è il futuro del video. Ed è già cominciato. Imperdibile.

Alejandro G. Iñárritu ha firmato già film bellissimi e mai banali come Amores Perros (2000), 21 grammi (2003), Babel (2006), Biutiful (2010), Birdman (2014), The Revenant (2015). Carne y Arena è un corto di realtà aumentata: una sperimentazione. Ma non è il primo corto del regista. Anche se di sicuro, finora, quello di maggiore impatto.

 Valeria Palumbo

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