Memorial: il perché del Nobel per la pace 2022

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Di Elena Dundovich*

Nel clima di relativa apertura avviato da Michail Gorbačёv nella seconda metà degli anni ’80 nacque nel 1987 un “club” chiamato “Perestroijka democratica” al cui interno fu creata una sezione storica, che prese poi il nome di Memorial, che sarebbe in seguito divenuta un vero e proprio centro di ricerca sulla storia delle repressioni in Urss durante gli anni dello stalinismo. Grazie anche al coinvolgimento di personalità illustri come il fisico Andrej Sacharov, lo storico Jurij Afanas’ev, scrittori come Lev Razgon e Anatolij Rybakov, il poeta Evgenij Evtušenko, il cantautore Bulat Okudžava, lo storico Roj Medvedev e lo stesso Boris Elc’in, Memorial raccolse un numero crescente di adesioni. Il 19 ottobre 1988, alla mostra dal titolo la “Settimana della Coscienza”, promossa da varie associazioni e giornali e a cui per la prima volta Memorial prendeva parte presso il Palazzo della cultura MELZ a Mosca, l’affluenza fu enorme.

La mostra del 1988 a Mosca

La gente portò lettere, diari, oggetti della vita dei lager, un patrimonio che ha poi costituito il nucleo principale del museo, dell’archivio e della biblioteca del centro scientifico dell’associazione. Nonostante le intimidazioni delle autorità, che consideravano pericolosa la notorietà che il movimento andava via via acquisendo, per la fine di ottobre venne messo in calendario il primo congresso fondatore dell’associazione che si svolse nel gennaio del 1989.

La sede stabile

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la fine del comunismo l’associazione ottenne un sede stabile nel centro di Mosca, non lontano dal Cremlino, in grado di ospitare il centro scientifico, presto noto a livello internazionale, formato da un museo, in cui erano stati raccolti innumerevoli oggetti donati da ex detenuti dei lager o direttamente rinvenuti dai ricercatori di Memorial nei luoghi ove si trovavano alcuni campi; una ricca biblioteca; e infine un archivio i cui documenti e dati erano stati raccolti a partire dal 1989. Memorial divenne così punto di riferimento per molte persone che avevano conosciuto direttamente, o indirettamente attraverso l’esperienza dei propri familiari, la violenza del terrore di stato negli anni dello stalinismo.

La battaglia per la riabilitazione delle vittime

Nacque da ciò l’impegno dell’associazione per una riabilitazione legale delle vittime delle repressioni politiche obiettivo che venne raggiunto nel 1991 con una legge che, per la prima volta, riconosceva pubblicamente i crimini commessi dallo Stato sovietico nei confronti dei suoi cittadini a partire dal 1917. Si cominciarono inoltre a pubblicare libri, organizzare mostre, promuovere concorsi nelle scuole sulla storia sovietica permettendo così alle giovani generazioni di scoprire il passato del proprio paese e in alcuni casi delle loro stesse famiglie sopperendo alla carenza dei libri di testo adottati nelle scuole in cui allo stalinismo e al terrore di stato venivano e vengono tutt’oggi  dedicate solo alcune pagine.

La difesa dei diritti umani

Il dissesto seguito in molte repubbliche ex sovietiche al crollo dell’Urss spinse inoltre Memorial a potenziare la sua attività di organizzazione per la difesa dei diritti umani. Particolarmente importante è stata l’attività svolta nella denuncia delle violenze perpetrate ai danni della popolazione sia da parte dei guerriglieri che delle milizie russe in occasione delle due guerre cecene e in particolar modo della prima, quella svoltasi tra il 1994 e il 1996.

L’involuzione delle libertà

Nella prima metà degli anni Novanta molti in Russia pensarono che la verità storica e la memoria del terrore avessero infine trionfato. Una previsione purtroppo smentita dall’involuzione della situazione politica interna russa soprattutto dopo l’arrivo di Vladimir Putin al potere nel 1999. In generale, durante i due mandati di El’cin, il presidente si ricordò del terrore e dei crimini del vecchio regime molto raramente. Nel caos seguito alla dissoluzione dell’URSS, già nel 1992 gli archivi ex sovietici aprirono i loro misteri agli studiosi russi e stranieri ancor prima che fosse stata emanata una precisa legislazione archivistica.

Il lavoro sugli archivi

Ciò permise ai ricercatori di Memorial di avviare indagini di straordinaria importanza, soprattutto nell’Archivio Centrale di Stato a Mosca, sui metodi con cui aveva operato il terrore di stato, le politiche della dekulakizzazione, il sistema concentrazionario, la storia del “Grande Terrore”, l’identità delle vittime politiche e non politiche delle articolate campagne repressive staliniane. Presto ebbe inizio la pubblicazione dei “Libri della Memoria”, anche detti martirologi sfogliare le cui pagine è sconcertante: centinaia di migliaia di nomi si susseguono silenziosi uno dopo l’altro, centinaia di migliaia di vite di uomini e donne uccisi senza che la loro colpa fosse mai esistita. Accanto a questi preziosi volumi, che hanno strappato all’oblio della memoria l’esistenza di tante vittime delle repressioni, vide la luce il primo manuale che ricostruiva per la prima volta in maniera sistematica la rete, le funzioni, il numero dei detenuti dei campi di rieducazione attraverso il lavoro, quei lager cioè che formavano il complesso sistema del GULag.

Il rapporto con il potere

Soprattutto durante la prima presidenza Eltsin, il potere politico non agevolò l’attività di Memorial ma neppure la ostacolò. La nuova classe dirigente era ufficialmente impegnata a traghettare il paese verso un sistema democratico e di libero mercato, in realtà verso la spartizione di poteri e privilegi.  Poco sembrava importare al Cremlino dell’attività di un’associazione formata da ex dissidenti proiettata al recupero di lontani scheletri nell’armadio. Esattamente così come, in maniera parallela, sempre meno interessata alla “memoria del terrore” sembrava con il trascorrere degli anni l’opinione pubblica russa, angustiata dalla disoccupazione, dall’impoverimento di larghi strati della popolazione, dalle differenze sociali, dalla mancanza di un sistema di “welfare state”.

La memoria nostalgica

Così, progressivamente e in netta controtendenza con quando accaduto nella seconda metà degli anni ’80, alla “memoria del terrore” si sostituì in Russia una “memoria nostalgica” del passato, un passato immaginato, edulcorato dagli aspetti più crudi e proprio per questo rassicurante, la nostalgia di un regime che a tutti toglieva la libertà ma a tutti garantiva sicurezza, lavoro, assistenza sanitaria e, elemento certo non secondario per l’orgoglio nazionale russo, rispettabilità a livello internazionale.

Il declino dei partiti democratici

Mentre nel 2000 il paese sceglieva, di propria volontà, un nuovo presidente ex tenente colonnello del KGB, tra il 1993 e il 2003 si è assistito a un vero e proprio declino dei partiti democratici che hanno raccolto sempre meno voti. In questo nuovo clima politico la memoria del terrore si è affievolita cadendo  nell’oblio in nome di un passato visto come una serie ininterrotta di vittorie, di fatti eroici, di grandi realizzazioni per i quali milioni di persone felici, dalla vita normale, hanno saputo pagare un alto prezzo.

Putin e la pulizia dagli “scarti”

Come ebbe occasione di rilevare lo stesso Putin dinanzi a un pubblico di storici appositamente convocati alla fine del novembre del 2003, quindi quasi alla fine del suo primo mandato, era necessario “ripulire la storia dagli scarti. Il nostro era un grande paese. Dobbiamo insegnare alla gioventù a essere orgogliosa della nostra storia”. È a questi giovani, quelli che il Presidente chiama i “naši”, che il paese guarda con nuovo orgoglio patriottico. E poiché nella Russia neocapitalista degli anni Novanta non è nata una vera, genuina memoria storica statale nazionale condivisa, la memoria del terrore è tornata a essere, per larghi versi, una memoria privata.

 

Anna Politkovskaja

A poco sono valse le voci che  si sono levate contro le tendenze restauratrici del Presidente, come quella della giornalista Anna Politkovskaja, barbaramente uccisa a Mosca il 6 ottobre del 2006, che con coraggio aveva  denunciato nei suoi articoli apparsi sul giornale indipendente “Novaja Gazeta” o nei suoi libri (mai pubblicati in Russia) la continuità esistente tra i metodi di potere del vecchio regime sovietico e quelli dell’ attuale governo: mancanza di indipendenza dei tribunali grazie alla connivenza tra i procuratori e gli uomini politici protetti da Putin, assenza di un reale confronto politico a causa del controllo esercitato dal governo su televisioni e giornali, gestione privatistica della res publica da parte dell’entourage putiniano, ricorso a violenze, brutalità e illegalità di ogni genere nell’affrontare l’annosa questione cecena. E neanche Memorial ormai ha più voce: sopralluoghi e perquisizioni della polizia si sono susseguita a ritmo sempre più serrato negli ultimi anni sino a che, per decisione del Procuratore generale della Federazione, persona molto vicina a Putin, l’associazione è stata definitivamente chiusa nel dicembre 2021.

La sede italiana

In questi ultimi mesi le sedi distaccate di Memorial, tra cui quella in Italia, fondata nel 2004 per promuovere le ricerche sulla storia delle repressioni politiche in Urss nel ventesimo secolo e diffondere attraverso mostre, seminari, lezioni nelle scuole e nelle università, la conoscenza della storia dell’Urss nel ventesimo secolo,  hanno cercato di accrescere il proprio impegno per tenere viva l’attenzione su quanto stava accadendo e anche sul destino incerto dei membri di Memorial di Mosca, uomini e donne straordinari, di grande coraggio e di altissimi valori etici la cui vita è stata coraggiosamente spesa alla ricerca della libertà.

*Elena Dundovich, docente di “Storia delle Relazioni Internazionali”, “Storia dell’Europa Orientale”, “Dinamiche geopolitiche nell’area post-sovietica”, Dinamiche geopolitiche internazionali.  Presidente del Comitato Unico di Garanzia dell’Università di Pisa. Coordinatrice del Dottorato di Ricerca in  Scienze Politiche.Delegata del Direttore per la didattica.

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