Parlando del fratello, il genio della matematica e della nascente computer science, Alan Turing, John Turing scrive: «Per come la vedo ora in retrospettiva (…) né i genitori di Alan né il fratello avevano la minima idea che questo ragazzino snervante, eccentrico e cocciuto era un genio in erba…». Il suo intervento, condito di un spirito britannico, addirittura sulfureo, appare come prefazione a un libro singolare e per molti versi imperdibile, Alan Turing. Un ritratto privato. Si tratta della biografia che, con inattesa competenza scientifica e comprensibile reticenza personale, la madre dello scienziato, Sara, dedicò al figlio dopo il suo suicidio il 7 giugno del 1954, ripubblicata ora da Franco Angeli.
Sara non soltanto non accenna all’omosessualità del figlio, che gli costò una disumana condanna ad assumere ormoni femminili per reprimerne la libido. Ma giudica improbabile l’ipotesi che il figlio si sia ucciso, a 42 anni, con una mela avvelenata. Per quanto si tratti di un suicidio eccentrico, non lo è affatto se si pensa alla singolare personalità del matematico. Ma anche al fatto che fosse rimasto profondamente colpito dal cartone animato disneyiano su Biancaneve e continuasse a ripetersi la canzoncina della mela avvelenata.
Ma al di là delle bizzarrie di Turing, che oggi ci appaiono non così bizzarre e che il bel film di Morten Tyldum, The Imitation Game (con Benedict Cumberbatch nel ruolo di Turing) ha saputo inserire in un contesto storico molto particolare, quello che conta è il valore del pensiero di Turing. Il matematico è stato il primo ad affrontare il tema di una macchian che potesse “pensare” e a porsi il problema del confine tra ciò che è umano e ciò che non lo è e sull’incerto confine. Benché il modello di computer progettato da Turing sia stato scavalcato dai più efficienti calcolatori statunitensi, al riflessione scientifico-filosofica di Turing è rimasta incredibilmente attuale. «Possono pensare le macchine?», Alan Turing si pose questa domanda nel suo articolo “Computing machinery and intelligence” del 1950, pubblicato sulla rivista Mind.
Ne parla, per esempio, lo spettacolo-performance del collettivo Rimini-Protokoll, Uncanny Valley, che, a maggio 2019, è stato ospite del festival Fog, appuntamento ormai imperdibile del Triennale Teatro dell’arte, a Milano. Lo spettacolo è ideato e diretto da Stefan Kaegi; il testo è anche di Thomas Melle che ha prestato corpo e voce all’incredibile androide che si esibisce in scena. Il tema dello spettacolo non è soltanto l’evoluzione dei robot. Ma i sempre più labili confini tra ciò che è umano e ciò che è artificiale. Giudichiamo ovviamente umano, qualcuno che ha un arto artificiale. Ma che dire di chi ha impiantato nel cervello un dispositivo che lo sottrae alla sordità assoluta? O di chi, per combattere un disturbo psicotico, assume sostanze? Che cosa ci differenzia davvero dalle macchine, i ricordi? Ma i nostri ricordi sono autentici o sono piuttosto elaborazioni di fotografie o racconti dei nostri genitori?
Questi sono soltanto alcuni dei dubbi e delle suggestioni che, come sempre nei suoi spettacoli, il collettivo Rimini Protokoll affida al pubblico. Senza offrire risposte scontate, ma suscitando riflessioni che finiscono con allargarsi via via che i giorni passano. Ovvero: il classico spettacolo che lascia il segno. Proprio come ripensare alla curiosità multiforme di Alan Turing, aumenta il desiderio di sapere di più su questo genio a lungo misconosciuto benché, decifrando il codice Enigma, abbia contribuito in modo determinate alla vittoria britannica sui tedeschi nella Seconda guerra Mondiale. Turing è stato tra i primi a parlare di Intelligenza artificiale e soprattutto ha messo a punto il test, che porta il suo nome, che ancora oggi serve a distinguere una macchina da un essere umano. Presente il Captcha che compare quando si compila un modulo su Internet? Sta per Completely Automated Public Turing-test-to-tell Computers and Humans Apart. Come ricorda l’androide Thomas Melle nello spettacolo Uncanny Valley, Turing aveva già individuato la vastità del problema. E siamo ancora all’inizio della riflessione.
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