«Durante gli anni di guerra, le persone leggevano avidamente Guerra e Pace, per cercare conferme su se stessi (non su Tostoj, della cui adeguatezza verso la vita nessuno dubitava)». È sufficiente leggere l’incipit di questo interessantissimo volume di Lidija Ginzburg, Leningrado. Memorie di un assedio (Guerini e associati) su quei 900 giorni di assedio che fecero la Storia, per capire che ci troviamo di fronte a una narrazione che intende scavare nell’animo delle persone e, attraverso di loro, di un intero popolo, costretto suo malgrado a forme di resistenza estrema, durante la Seconda guerra mondiale.
N. è il personaggio centrale del volume, un intellettuale che si trova a vivere in circostanze eccezionali, durante il lungo assedio nazista di Leningrado (8 settembre 1941 – 27 gennaio 1944), un tipo convenzionale che serve alla Ginzburg, reale testimone di quell’immane tragedia, a trasmetterci il senso più profondo dell’annichilimento dell’individuo, vittima di una guerra totale. Scorrendo le pagine di questo volume siamo indotti a chiederci come sia possibile resistere alla fame più atroce e a privazioni che annientano il corpo fino a renderlo irriconoscibile a se stesso, cosa spinga la gente a lottare per mesi, per anni, in una città che si andava spegnendo in una dimensione spettrale, con «il buio che calava durante il giorno e si disperdeva tardi al mattino; i cadaveri abbandonati negli androni, i cadaveri trasportati sugli slittini, allungati e scarni, più simili a una mummia che a un normale cadavere umano».
Coloro che nei lunghi mesi rimasero a Leningrado, che per motivi diversi non vollero o non riuscirono a fuggire verso la zona libera, dovettero ingegnarsi per trovare il modo di resistere, come sempre hanno fatto gli uomini e le donne quando si sono trovati in condizioni estreme. Si pensi a Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, quando ricorda che «perfino per noi la vita era una cosa meravigliosa, e noi volevamo resistere con tutte le nostre forze». E così anche N. e tutti gli abitanti di Leningrado sono costretti a reagire ai bombardamenti, alla fame, alla paura di esserci e un momento dopo di essere dilaniati da una granata. La scrittrice afferma che a un certo punto anche la paura svanisce «perché l’unica cosa che conta è procurarsi il cibo e continuare a fingere che tutto continui come sempre: la morte può essere rimossa per la semplice ragione che è inaccessibile all’esperienza».
Tutto viene stravolto nella città assediata, la percezione come allucinata di architetture, volumi, corpi che mutano di continuo, palazzi sventrati, resti umani, le stanze degli appartamenti, con le finestre cosparse di strisce di carta adesiva per evitare la rottura dei vetri. E poi lo stanco rituale della discesa negli scantinati freddi e bui durante i bombardamenti, le code di ore nel gelo dell’inverno fin dall’alba per accaparrarsi un tozzo di pane: «In inverno, le code di persone distrofiche erano stranamente silenziose». N. però è anche una rotella negli assurdi ingranaggi burocratici sovietici che non smettono mai di funzionare. Ginzburg, che negli anni ’20 del Novecento aveva tenuto seminari sulla poesia russa del diciannovesimo e ventesimo secolo ed era stata oggetto di violenti attacchi da parte dei teorici della letteratura sovietica e perseguitata per la sua origine ebraica, durante l’assedio riuscì a sopravvivere grazie a un modesto impiego nel leggendario Comitato della Radio di Leningrado. Nella seconda parte di Memorie di un assedio, costruita a più voci come una pièce teatrale, ecco che l’Autrice ridicolizza il lavoro pseudo intellettuale e propagandistico che si svolge nella “redazione letteraria teatrale del Comitato delle Comunicazioni Radio” di Leningrado.
I personaggi sembrano recitare a soggetto e sono sempre contraddistinti dalle iniziali del nome: «Il critico M. è preoccupato per la sua trasmissione sul fronte meridionale…Ch.K. scrive sulla eroica vita quotidiana nelle fabbriche militari…O.B., un bardo dell’assedio, in uno dei giorni più intensi del fronte di Leningrado racconta con calore un aneddoto a proposito di una busta dal tribunale». Ma il leitmotiv che ritorna assillante è la fame: «Ora ho capito un segreto. Quando mangio due porzioni di kaša di seguito mi sento sazia. Per molto tempo non l’avevo capito e così mi portavo la seconda porzione a casa e la divoravo subito. Ma è meglio mangiare due porzioni di seguito». Un memento per tutte le guerre e tutti gli assedi, del passato come del presente.
testo di Simone Campanozzi
LENINGRADO. MEMORIE DI UN ASSEDIO, di Lidija Ginzburg
Pagine 192, prezzo 18 euro.
Traduzione e cura di Francesca Gori.
Guerini e Associati (collana Narrare la Memoria) 2019.
Tags: assedio di Leningrado, Leningrado, Lidija Ginzburg, russia, saggi di storia, Seconda guerra mondiale, unione sovietica