Campi, neve, pascoli, grandi spazi. E ogni tanto, è vero, anche uno scorcio di città: addirittura uno sciopero o l’inizio, cupo, della giornata di lavoro. Che Italia raccontavano i pittori di fine Ottocento? L’occasione per rifletterci è rappresentata da una bella mostra aperta fino al 5 aprile al Castello visconteo sforzesco di Novara, Divisionismo. La rivoluzione della luce.
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Quello che colpisce è il contrasto tra la modernità della tecnica, che chiudeva con la stagione della Scapigliatura e sarebbe a sua volta stata cancellata dalla tempesta del Futurismo, e il Paese che appare sulle tele. In gran parte agricolo, caratterizzato da una scarsa urbanizzazione, e con una forte presenza delle donne nei lavori più faticosi. La mostra è un appuntamento di tutto rilievo per gli appassionati d’arte e vale la pena seguire anche gli incontri organizzati sino a fine marzo. Ma sarebbe un peccato non approfittarne anche per una riflessione storica. Anche perché la coeva pittura francese, che rappresenta soprattutto contesti cittadini, descrive una società diversa. Non soltanto più urbanizzata e industrializzata, ma nella quale la borghesia aveva assunto un ruolo più ampio e diffuso. E la condizione femminile, per quanto tutt’altro che emancipata, permetteva una maggiore partecipazione delle donne alla vita sociale e culturale.
Le donne ritratte dai divisionisti sono, senz’altro più di quelle amate dai pittori della Scapigliatura, che, a parte le scene storiche, avevano amato maggiormente gli interni, sono spesso popolane. Soprattutto contadine e pastore. Ma non mancano portatrici di gerle, lavandaie, venditrici d’acqua, ambulanti: un’umanità femminile di incredibile dignità, almeno sulle tele. Ma anche oppressa da condizioni di lavoro durissime.
Certo, per quanto riguarda il lavoro, la vita degli uomini del popolo non era meno severa. In particolare merita attenzione il dipinti di Emilio Longoni, L’oratore dello sciopero. Longoni era nato a Barlassina il 9 luglio 1859. Era il quarto di 12 figli. Suo padre, Matteo, un maniscalco, era stato garibaldino. Sua madre, Luigia Meroni, era sarta.
Longoni aveva avuto fin da bambino la passione per la pittura, ma era stato costretto, ancora adolescente, a svolgere tanti lavori per mantenersi, compreso quello di pittore di giostre e giocattoli. Fu proprio in quell’occasione che rivelò il suo talento artistico. Il suo primo maestro, il cartellonista Faustino Colombo, lo esortò ad iscriversi all’Accademia di Brera. Da lì passò, per un breve periodo, all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
L’oratore dello sciopero, del 1891, è un po’ il primo manifesto del “divisionismo ideologico” o “socialista”. Certo, il suo campione fu Giuseppe Pellizza da Volpedo e l’opera più celebre e celebrata è il suo Il Quarto Stato. Ma Emilio Longoni aveva affrontato il tema delle lotte dei lavoratori prima ancora di Pellizza da Volpedo, rivelando la sua profonda partecipazione alla loro causa.
La coincidenza non è casuale. Gli anni del Divisionismo, i novanta dell’Ottocento, come già il decennio precedente, videro anche in Italia lo sviluppo delle lotte socialiste, alle quali Longoni aderì con entusiasmo. Il 1° maggio del 1890 i socialisti decisero di festeggiare i lavoratori proclamando uno sciopero generale, da appena un anno dichiarato non più penalmente perseguibile dal Codice Zanardelli. È probabile che Emilio Longoni abbia partecipato alla manifestazione, alla quale aderirono moltissimi lavoratori, a Milano, e ne abbia tratto schizzi dal vero. Il risultato fu il dipinto Primo Maggio, che solo in un secondo momento, quando fu esposto alla I Triennale di Brera nel 1891, mutò il titolo in L’oratore dello sciopero. Vi si osserva un muratore arrampicato sull’impalcatura di un edificio in costruzione (segnalata da un lanternino rosso) che arringa la folla dei dimostranti nei suoi abiti da lavoro. Ha il pugno chiuso e altri pugni chiusi s’intravedono nella folla ai suoi piedi. La scena si svolge a Milano, che si riconosce dalle chiese rappresentate sullo sfondo.
L’opera fece scalpore e suscitò al tempo stesso consensi e critiche, anche per la tecnica utilizzata. Certo la realtà, basti pensare alle cannonate del generale Fiorenzo Bava Beccaris, proprio a Milano, per reprimere i cosiddetti “Moti di Milano” del 1898, sarebbe stata ben più cruda delle scene rappresentate dai pittori divisionisti. Ma quell’adesione alle ragioni del popolo in una categoria di artisti che, proprio come Longoni, veniva spesso dai ceti più umili, rappresentò un momento importante della riflessione politica dei nostri intellettuali post-unitari.
DIVISIONISMO. LA RIVOLUZIONE DELLA LUCE
23 NOVEMBRE 2019 – 5 APRILE 2020
NOVARA, CASTELLO VISCONTEO SFORZESCO
Tags: avanguardia, divisionismo, mostre d'arte, Novara, ottocento, pittura