Ultimo indirizzo conosciuto: le targhe per le vittime dei Gulag di Stalin

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di Simone Campanozzi

Quasi nessuno ricorda più Alice Negro, un cittadino italiano (maschio, in barba al nome), nato il 6 aprile del 1904 a Tollegno, paesino del biellese, arrestato nel 1937 in URSS e morto in un lager staliniano nel 1944. Uno dei tanti “sommersi”, per usare la definizione di Primo Leviinghiottiti dalla Storia e dalla follia dei totalitarismi del Novecento, nella Germania nazista come nell’URSS di Stalinche non riuscirono a salvarsi, che non hanno avuto il privilegio di poter testimoniare quanto gli era accaduto

Cerimonia per la targa in memoria di Alice Negro. Tutte le immagini di questo articolo sono state concesse da Memorial.

Alice Negro era uno di quelli che aveva creduto nella Rivoluzione del 1917, quella bolscevica, si intende, e che nel 1921 si iscrive al Partito Comunista d’Italia appena fondato da Gramsci e Bordiga, in seguito alla scissione di Livorno. Un operaio, che già all’età di 14 anni lavora alla tipografia sociale di Biella, subisce le angherie del regime fascista, nel 1931 decide di seguire gli emigrati politici a Parigi. Poi, finalmente, ottiene dall’Ambasciata dell’URSS il visto e si reca a Leningrado, dove troverà lavoro presso la tipografia n. 7 “Iskra Revoljucii. 

E Alice Negro non fu l’unico biellese che in quegli anni raggiungeva fiducioso l’URSS. Giovanni Gagliazzo, nato a Biella il 16 agosto del 1900, figlio di un deputato comunista, emigrato in Francia con il padre, decide di trasferirsi nel 1932 a Mosca, dove lavora come ingegnere progettista nella fabbrica n. 132, per realizzare una macchina di sua invenzione. Operai, ingegneri, intellettuali, sono tanti gli italiani che fuggono dal fascismo o dal capitalismo per vivere nel Paese del comunismo realizzato, nella terra dei Soviet operai e contadini, dove ha trionfato la giustizia sociale. Ma l’illusione dura poco. Si preparano le purghe staliniane, per i nemici interni e per quelli venuti dall’estero. Gagliazzo viene arrestato a Mosca il 1 febbraio 1938 con l’accusa di “aver raccolto informazioni a favore dello spionaggio straniero” e detenuto nel carcere della Taganka. Verrà fucilato l’11 aprile 1938 a Butovo. Anche per Alice Negro la sorte è segnata. Denunciato da un compagno di lavoro italiano nel 1936, è espulso dalla VKP (Partito Comunista Panrusso) e licenziato. Viene accusato di metodi capitalisti nella direzione della tipografia e di propaganda antisovietica.

Targa per Alice Negro.

Nei successivi quattro anni cerca invano di essere reintegrato nel partito e di trovare un altro impiego. Disperato, si rivolge più volte all’ambasciata italiana per ottenere il passaporto in sostituzione di quello italiano lasciato a Parigi e poter rientrare in Italia. Ma non tornerà mai più nel suo Paese. Arrestato una prima volta a Mosca nel 1937, nel febbraio 1941 è di nuovo imprigionato con l’accusa di propaganda trockista, intenzioni terroriste e rivelazione dei metodi di lavoro dell’NKGB (il Commissariato del Popolo alla Sicurezza Statale) e condannato a otto anni da scontarsi nell’inferno del GULag (l’insieme dei campi di lavoro e di detenzione che hanno caratterizzato la storia dell’Unione Sovietica), più precisamente all’ Usol’skij lager, nel territorio di Perm’, dove muore il 27 maggio 1944, lasciando moglie e due figlie. 

Verrà riabilitato il 28 maggio 1957, per decisione del Procuratore generale dell’URSS, grazie alla destalinizzazione intrapresa da Nikita Chruščëv dopo il XX Congresso del Partito Comunista dell’URSS del 1956. Alice Negro è solo l’ultima vittima italiana delle repressioni in Unione Sovietica, cui è stata recentemente dedicata una targa, affissa sulla facciata del palazzo a Mosca, dove visse prima di venire arrestato, nell’ambito del progetto Ultimo indirizzo conosciuto (in russo Poslednij adres).

Sempre a Mosca nel 2019, in vicolo Furmannyj, una targa era già stata dedicata a un altro italiano, Olinto Bertozziche aveva trovato lavoro come operaio radiotecnico ma che, secondo l’atto di accusa, si sarebbe “più volte espresso negativamente sul modo di vivere e sul tenore di vita sovietico, mentre avrebbe dato un giudizio positivo sulle condizioni di vita in Occidente”. E per questo verrà imprigionato e fucilato il 20 agosto 1938 a Butovo. 

Cerimonia a Mosca per la targa ad Alice negro.

 Una targa per ricordare. 

Ultimo indirizzo conosciuto https://www.poslednyadres.ru  è un’iniziativa civica che ha lo scopo di perpetuare la memoria delle vittime delle repressioni politiche in Unione Sovietica e che si ispira al progetto commemorativo europeo delle Pietre d’inciampo (Stolpersteine)avviato nel 1992 in Germania da Gunter Demnigper ricordare le vittime della Shoah con una piccola pietra di ottone che ricorda nome e cognome, data di nascita, data e luogo di deportazione e data di morte del deportato. 

Anche il progetto Ultimo indirizzo conosciuto è nato dalla volontà di ricordare i tanti deportati nei Gulag e nelle prigioni staliniane, mai più ritornati a casa. Anche quelli più noti, come Osip Ėmil’evič Mandel’štam, uno dei grandi poeti del XX secolo. Condannato per attività controrivoluzionaria ai lavori forzati, fu trasferito nell’estremità orientale della  Siberia e morì il 27 dicembre del 1938 nel gulag di Vtoraja rečka,  

Targhe a 16 vittime nello stesso palazzo, San Pietroburgo.

Il principio fondatore del progetto è il motto “Un nome, una via, una targa”, in Russia sono già state poste migliaia di targhette commemorativegrandi come una cartolinacreate a partire da uno schizzo disegnato da un noto architetto russo, Aleksandr Brodskij. Si tratta di un rettangolo di acciaio inossidabile di cm. 11 per 19. Le informazioni essenziali riguardanti la vittima sono inserite a mano in alcune righe, con dei punzoni a lettere maiuscole, a volte in due lingue. Il 10 dicembre 2014, Giornata internazionale dei diritti dell’uomo, le prime diciotto targhette commemorative sono state installate su nove edifici di Mosca. Al 9 giugno 2020, più di 1015 targhette commemorative risultavano già installate in 56 città e villaggi della Russia. Le informazioni vengono verificate e controllate con quelle contenute nella banca dati dell’Associazione Internazionale Memorial, che si occupa di ricerca storica e difesa dei diritti umani, ma che è stata  dichiarata, nell’ottobre del 2016, “agente straniero”, per decisione del ministero della Giustizia russo, sulla base di una delle riforme più controverse approvate nel 2012. Negli anni Memorial ha compilato un database con 3 milioni di nomi di vittime delle repressioni politiche in Urss. La banca dati è impiegata anche per l’iniziativa Restituzione dei nomi, organizzata a Mosca ogni anno in memoria delle vittime delle repressioni: cittadini volontari leggono ad alta voce i loro nomi in piazza Lubjanka a Mosca, proprio nel luogo dove si trova la sede degli organi di sicurezza responsabili delle repressioni, che hanno avuto nomi diversi durante il periodo sovietico (OGPU-NKVD-KGB) e dove la FSB ha tuttora la sua sede.  

Notizie sugli italiani Alice Negro e Olinto Bertozzi si trovano nella banca dati Gli italiani vittime di repressioni in Urss, a cura di Elena Dundovich, Francesca Gori e Emanuela Guercetti, consultabile online all’indirizzo http://www.memorialitalia.it/ricerca-vittime-italiane-nei-gulag/. Nel prezioso archivio sono presenti ben 1121 schede anagrafiche e la ricerca può avvenire per nominativo, città, anno di morte. Quando è possibile, a cura dell’Associazione Memorial Italia, vengono rintracciati i familiari, nipoti e pronipoti. Per presenziare alla posa della targa di Alice Negro, sono addirittura arrivati da Dubai alcuni familiari, che oggi vivono nel paese degli Emirati Arabi.   

 

Targa al poeta Osip Mandel’štam.

La Rivoluzione che divora se stessa.  

Recentemente David Bidussa, in un articolo dal titolo Il partito che si fa fortezza, ha ricordato come all’origine dello scontro e poi della durissima repressione da parte del governo sovietico e dell’Armata Rossa contro i soviet degli operai e dei marinai della città di Kronstadt, nel marzo del 1921, vi sia l’idea che chiunque attenti al processo rivoluzionario sia un avversario della rivoluzione stessa. Questo perché si è prodotta una dimensione nel tempo di tipo “giusnaturalistico”, tale per cui se tu ti rappresenti come sinistra il tuo interlocutore critico che si dichiara allo stesso tempo di sinistra non può che essere un “destro mascherato” (o, diversamente: uno oggettivamente di destra)” https://fondazionefeltrinelli.it/il-partito-che-si-fa-fortezza/

Di questo cortocircuito ideologico e della folle paranoia che spinse Stalin a eliminare tutti i suoi ex compagni, divenuti nemici del popolo, molto si è scritto. Ci piace ricordare un altro “sommerso” italianoEdmondo Peluso, nato a Napoli nel 1882. Aderisce al Partito Comunistad’Italia fin dalla sua fondazione, dopo essersi già iscritto ai vari partiti operai di ogni parte del mondo (Francia, Usa, Spagna, Portogallo, Austria, Svizzera, Germania). Era un vero “cittadino del mondo”, come si definì in un volume autobiografico, pubblicato in URSS nel 1932. Anche lui dal 1938 finisce nel tritacarne dei bagni penali sovietici, attraverso le stanze delle torture, accusato ingiustamente di essere una spia e un controrivoluzionario. Peluso fu tra i pochi a non piegarsi alla logica dei tribunali del popolo, al meccanismo perverso dell’autoconfessione. come ha ricordato Didi Gnocchi nel suo volume “Odissea rossa. La storia dimenticata di uno dei fondatori del PCI”. O per meglio dire, ritrattò tutto quello che gli era stato estorto in un primo momento con torture indicibili, evitando sempre di coinvolgere altri compagni innocenti. Dopo anni di deportazioni, il 31 gennaio 1942 viene condannato dalla Commissione speciale dell’Nkvd alla pena di morte, eseguita mediante fucilazione, il 6 marzo 1942 a Krasnojarskper propaganda antisovietica, con un semplice atto amministrativo senza processo.  

Cerimonia per la targa in ricordo di Alice Negro a Mosca.

Hannah Arendt ha scritto che “il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più. Un’affermazione che, letta oggi, dovrebbe metterci un po’ di inquietudine. Ma Edmondo Peluso non era evidentemente il suddito ideale, aveva compreso bene lo scarto tra finzione e realtà: «In Urss non c’è alcun socialismo – diceva – ma esistono degli esperimenti folli, che sbalordiscono tutto il mondo, su un popolo che ha perso il buon senso. Il socialismo in questo paese rappresenta il trionfo della polizia segreta, è un trono lordato dal sangue degli uomini migliori. Ma io vi dico che questo potere si regge sulle baionette, sulle camere di tortura, sulle repressioni e questo potere che mantiene il popolo con razioni di fame, non può essere durevole. Non appena avrò la possibilità di lasciare questo villaggio aprirò gli occhi ai miei compagni». Peluso non potrà aiutare i suoi compagni, ma sarà la Storia ad aprire gli occhi a tutti.  

 

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