L’amore secondo Kafka: nel centenario della morte del grande scrittore praghese, esce nelle sale un film sul suo ultimo anno di vita.
di Carlo Rotondo
Kafka sta morendo, già da sette anni sa di avere la tubercolosi, inguaribile agli inizi del secolo scorso, trasloca di continuo tra sanatori e località termali marine per contenere gli effetti devastanti della malattia. Si trascina dietro una pesante valigia con i manoscritti di racconti e di romanzi mai finiti, ma non sembra rammaricarsene più di tanto se è vero che l’obiettivo non sia di terminarli, né tantomeno di pubblicarli, infatti sul letto di morte chiederà all’amico di sempre, Max Brod di bruciare tutto, perfino la corrispondenza inviata che vuole sia integralmente recuperata per essere distrutta.
È la storia narrata in L’amore secondo Kafka, diretto da Judith Kaufmann e Georg Maas, con Henriette Confurius, Sabin Tambrea e Manuel Rubey, e già nelle sale.
La vicenda si concentra sull’ossessione di Kafka di trascrivere nel silenzio della notte, illuminata solo da una candela, le sue ansie labirintiche in una sorta di autoterapia compulsiva. I bambini della colonia estiva sul mar Baltico dove va a respirare l’aria benefica di mare lo adorano e pendono dalle sue labbra; racconta loro storie e inventa favole, come quella del topo che per evitare di cadere in trappola finisce per essere mangiato dal gatto. Negli ultimi dieci anni lo scrittore ha intrecciato relazioni sentimentali, con almeno quattro donne, Felice, Greta, Julie e Milena, tutte economicamente indipendenti e colte, ma il rapporto si è svolto in forma in prevalenza epistolare, più di mille e cinquecento pagine, e come per i suoi scritti, con nessuna di esse va oltre un inconcludente e momentaneo rapporto di simpatia, troppo immerso nella scrittura, unico elemento di soddisfazione della sua libido; sa di dover morire presto e questo ne renderebbe una di loro vedova.
Nell’ultimo anno di vita conosce Dora, l’unica che riuscirà a creare con Franz, una parvenza di vita “coniugale”, anch’essa impegnata con la quale vive, consapevoli entrambi dell’esito tragico del loro rapporto, gli ultimi pochi mesi che gli rimangono; si mantiene grazie alla misera pensione che gli è stata riconosciuta anzitempo per l’aggravarsi della sua salute. È ricoverato presso il sanatorio Hoffmann di Kierling vicino Klosterneuburg, non lontano da Vienna; la tubercolosi attacca l’ epiglottide e lo priva dell’uso della parola, costringendolo a comunicare tramite bigliettini, ma in queste condizioni riuscirà ancora a scrivere l’ultimo dei suoi racconti, La tana, il cui protagonista, un essere tra l’umano e l’animale, compie sforzi sempre più disperati per costruirsi un rifugio su misura in grado di difenderlo dagli aggressori, peraltro del tutto immaginati.
Vive qualche mese a Berlino, aiutato da Max Brod, prima nel neo sobborgo cittadino di Steglitz, in un inverno gelido, tormentato dalla febbre alta e poi nel quartiere un po’ meno umido di Zehlendorf, dove Dora gli insegna, a lui che non credeva più ormai alla religione dei Padri, il Talmud e celebrano insieme il rituale legato allo shabbat. Dora sarà l’unica a regalargli una breve, ma intensa stagione di felicità che lo accompagnerà con un sorriso fino agli ultimi istanti.
Il film è dunque la struggente storia d’amore di uno dei narratori più importanti del Novecento, che grazie a un profondo lavoro di introspezione, descrive gli stati d’animo e i sentimenti di inadeguatezza di una generazione ingabbiata nell’epoca inquieta tra il crollo dell’impero austro-ungarico e le conseguenze della Grande Guerra.
Carlo Rotondo
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