Quotidiani e web: la via dell’integrazione
Mentre in Italia si intraprende la strada dell’on-line, uno sguardo al futuro è possibile, attraverso la realtà “multi-piattaforma” dei giornali inglesi, descritta in un’inchiesta del Guardian.
«La rivoluzione on-line è come un viaggio in treno senza destinazione. Appena un giornale arriva a una stazione che sembrava dover essere l’ultima, un’altra testata ha costruito una nuova linea e ha accelerato in avanti». È in questa metafora di Roy Greenslade, editorialista del quotidiano inglese The Guardian, un’efficace descrizione della corsa della stampa verso il digitale. L’integrazione tra giornali tradizionali e il loro alter ego su internet è un processo irreversibile. Gli editori investono sempre più in questa direzione, spinti dal lento ma costante calo delle vendite delle copie cartacee, ma anche dal crescente flusso pubblicitario raccolto on-line. E così i siti dei giornali diventano portali complessi e interattivi, che offrono al lettore dai feed rss, alla possibilità di commentare gli articoli, dai blog, alle notizie audio e video.
Se in Italia il processo va ancora a rilento e riguarda soprattutto i grandi giornali (il 10 febbraio il Corriere della Sera ha reso gratuito l’accesso ai propri archivi digitali), nei Paesi anglosassoni il passaggio al digitale è una realtà diffusa, la cui osservazione aiuta a comprendere in che direzione sta andando il giornalismo. Con questo intento Roy Greenslade, accreditato studioso delle evoluzioni dei mass media, ha messo a confronto in un’inchiesta per il Guardian, le redazioni di tre delle principali testate inglesi: Times, Telegraph e Financial Times. Il quadro è quello di un cambiamento evidente nell’organizzazione interna dei giornali, ma anche di un nuovo modo di lavorare e di concepire il proprio lavoro, da parte dei cronisti. «È adesso chiaro – racconta Greenslade – che i giorni del doppio personale, con giornalisti per il cartaceo e giornalisti per il web, sono virtualmente finiti. Nella maggior parte degli uffici lo scetticismo iniziale sull’utilità e la realizzabilità del giornalismo on-line è passato da lungo tempo».
Le testate regionali sono state pioniere sulla via del digitale in Inghilterra. I grandi quotidiani nazionali sono arrivati in ritardo, ma ora spingono il processo di integrazione sempre più avanti. «La sfida è di fornire notizie 24 ore su 24, per offrire ai lettori un servizio di informazione minuto dopo minuto» spiega l’editorialista. Perché ciò sia possibile, al singolo giornalista che si occupa di una storia viene chiesto di lavorare sia all’articolo destinato al sito internet, sia a quello che andrà sul giornale cartaceo, sia, se necessario, al materiale audio/video. Damian Reece, responsabile della divisione economia del Telegraph, schematizza il modo in cui si dovrebbe procedere. «Livello uno: un breve testo sul sito internet per dare la notizia. Livello due: aggiornamenti on-line come e quando necessario. Livello tre: se un brano video o audio sembra appropriato, lo stesso giornalista lo prepara nello studio, che si trova sullo stesso piano della redazione. Livello quattro: man mano che la giornata va avanti, il cronista ottiene altre informazioni di background e reazioni, alcune delle quali provenienti dai contributi sul sito. Questo servirà a scrivere un pezzo più analitico e contestualizzato per il giornale cartaceo». Secondo Reece, questo che sembra uno schema rigido nella pratica è un processo “fluido”. E Greenslade gli dà ragione: i cronisti, così come i direttori, stanno «sviluppando un istinto sul modo più appropriato di pubblicare». In sostanza, non ci si chiede più se una notizia debba andare prima su internet o in stampa, ma semplicemente si fanno entrambe le cose, nei tempi giusti.
Nell’integrarsi col mondo digitale le redazioni stanno cambiando fisionomia. L’inchiesta del Guardian descrive quello del Daily e Sunday Telegraph come «un ambiente di lavoro impressionante, specialmente per il muro di schermi giganti e cangianti e per lo spazio simile a un loft. Da dentro ha la vitalità di un giornale vecchio stile, ma con i benefici di una struttura del XXI secolo. Nella redazione, con l’avvicinarsi della riunione delle 16, c’è la familiare agitazione di un quotidiano vicino alla chiusura. Ma, naturalmente, il giornale adesso ha diverse chiusure, seguendo la famosa integrazione “big bang” del direttore Will Lewis». In pochissimo tempo, racconta Greenslade, il Telegraph si è trasformato in una testata “multi-piattaforma”.
Al Financial Times, invece, la completa integrazione è stata realizzata “con calma e lentamente”. «Ne abbiamo parlato per otto anni» testimonia il direttore Lionel Barber. Il giornale è dotato di un sistema editoriale che permette di passare con un click dal cartaceo all’on-line. «Il redattore del sito – descrive Greenslade – siede accanto al collega del cartaceo e tra di loro parlano amabilmente di come trattare ogni singola storia». Interattività con i lettori e flusso ininterrotto di notizie sono i punti di forza dell’integrazione digitale, grazie anche alle redazioni di New York e Honk Kong «che assumono il controllo del giornale quando Londra dorme». Anche se il Financial Times «non è riuscito a gestire la transizione al multi-piattaforma senza qualche dolorosa conseguenza». Giornalisti licenziati e superlavoro per gli altri.
Autocritica al prestigioso The Times. L’ex direttore Robert Thomson e il suo successore James Harding ammettono che il livello di integrazione raggiunta non è ancora perfetta: il sito non funziona così bene come i giornalisti vorrebbero e c’è irritazione tra i lettori. Ma questo è un problema comune a tutti, secondo Greenslade: «il desiderio di fare di più – di mettere più materiale audiovisivo, per esempio – va spesso più avanti di quelle che sono le reali capacità, in ogni giornale». Al di là dell’aspetto tecnico, però, Thomson parla di un vero e proprio “rinascimento culturale, specialmente tra i reporter, entusiasti di quello che stanno facendo”. L’ex direttore sostiene che «la velocità della distribuzione digitale ha cambiando e sta cambiando la natura dei contenuti» e che il sito di un giornale deve perciò «offrire un valore aggiunto, sia esso analisi, sapere specialistico o abilità di scrittura».
«L’integrazione – conclude Roy Greenslade – è qualcosa che va al di là di semplici ristrutturazioni degli uffici. Riguarda in realtà la creazione di una nuova cultura giornalistica, un metodo di lavoro che riflette sia le opportunità tecnologiche sia le richieste di un pubblico consapevole e sempre più esperto di media. (…) Nelle mie visite agli uffici del Financial Times, del Times e del Telegraph – dove ci sono forme diverse di integrazione – sono rimasto colpito dal modo in cui i giornalisti hanno afferrato, o hanno cominciato ad afferrare, i benefici dell’integrazione, non solo a livello pratico ma anche come filosofia. (…) Da quello che ho potuto accertare, i giornalisti stanno cogliendo le opportunità offerte dall’on-line per scrivere più liberamente. Prima non c’era alcuna possibilità di prendere la tangente. Adesso possono farlo quelli che hanno ottenuto un blog, offrendo ai lettori retroscena, più commenti. (…) Infine i cronisti sono liberi dalla camicia di forza della singola chiusura ogni 24 ore». Pronti a lasciare la carta stampata per il web, dunque? Non ancora, secondo Greenslade: «I giornalisti stanno comprendendo il valore dell’on-line proprio mentre continuano a deliziarsi delle loro firme sulla carta stampata». Ma il destino sembra segnato: «Il futuro della raccolta e distribuzione delle notizie è legato allo schermo del computer».
Serenella Mattera