Cinema e giornalismo
In questa sintesi si riporta ciò che altri hanno scritto mediante ampie citazioni dai saggi contenuti in tre volumi (Professione reporter. L’immagine del giornalismo nel cinema a cura di A. Barbera, P. Bertetto, S. Cortellazzo, Torino, Lindau, 1994; Giornalismo e cinema a cura di S. Cortellazzo e M. Quaglia, Torino, Celid, 2004 e Print the legend. Cinema e giornalismo, Milano, Il Castoro, 2005) con un implicito invito ad approfondire l’argomento.
Cinema e giornalismo costituiscono come afferma Sara Cortellazzo “un connubio indissolubile […] di grande fortuna presso la critica e il pubblico (Celid, 2004, p. 9). Aggiungerei che la cinematografia statunitense ha prodotto i film più significativi ed ha proposto agli spettatori una serie di variazioni sull’argomento che non si ritrovano nei film di altri paesi. Variazioni che vanno dal personaggio chiave, il giornalista (cronista, reporter, redattore che può essere “di volta in volta, un eroe, un traditore, un profittatore, un provocatore”) (idem) al direttore e al proprietario dell’impresa; dal mezzo utilizzato (quotidiano, radio, tv) al contesto in cui si svolge la vicenda sociale, sportivo, mondano, bellico).
I film di questo filone non possono essere inseriti in un unico genere tradizionale (commedia, western, horror, giallo ecc.) ma si ritrovano in tutti i generi.
I modelli del personaggio principale ,il giornalista,sono “sostanzialmente quattro, e oscillano tra due poli estremi : da un ideale solo positivo di giornalismo che coniuga aderenza ai fatti, correttezza nei metodi, e mordente nell’esposizione attraverso cui garantirsi una vasta risonanza popolare, ad un ideale completamente negativo di giornalismo che ottiene una popolarità ancora superiore attraverso il ricorso all’affabulazione e a metodi scandalistici” (E. Dagrada, Lindau, 2004, p. 22). Il primo modello è quello del giornalista crusader che utilizza mezzi corretti per una fine nobile. Negativo è il modello del giornalista che aderisce al sensazionalismo più gratuito, lo yellow journalism. Una variante moderata è rappresentata dallo story journalism “che recupera nel metodo parte di quella dimensione positiva di cui compromette comunque l’insieme sposando la logica della story dell’affabulazione, dal distacco dal reale. […] Il quarto modello, infine, anch’esso intermedio, è rappresentato dalla tradizione del giornalismo muckraker. Aggressivo e battagliero, questo modello condivide con il giornalismo crusader il realismo critico e la tensione morale, ma non ne possiede la correttezza, la lungimiranza riflessiva che salvaguardia dal rischio di commettere errori le cui conseguenze possono rivelarsi fatali” (idem p. 24-25).
Esistono anche delle regole sull’abbigliamento e sugli strumenti del mestiere. “Il cappello malandato con l’etichetta da giornalista sistemata sulla fascia, il vestito sgualcito e la giacca con le toppe sui gomiti [fanno] parte dell’immagine del giornalista sul grande schermo. […] Mentre il vestito in sé non è molto diverso da quello di altri lavoratori professionisti – avvocati, contabili o pubblicitari – l’aspetto trasandato del completo del giornalista sta a indicare una attività che non concede molto tempo per preoccuparsi del proprio aspetto, e una condizione economica che non consente di seguire i cambiamenti della moda […] La cura per un completo tanto più raffinata quanto più in alto ci si trova nella scala gerarchica della stampa indica, quindi, non solo un cambiamento della condizione economica ma anche della quantità di tempo che una posizione più prestigiosa permette di dedicare a questi aspetti” (R.R. Ness, Il Castoro, 2005, p. 49).
“Insieme all’abbigliamento, un altro elemento che spesso definisce l’aspetto fisico dei personaggi del genere è la presenza di accessori o strumenti associati con la pratica della professione. […] Il giornalista combatte con un taccuino, un registratore o una telecamera. Questi oggetti diventano un’estensione della presenza fisica del giornalista. […] Accanto agli strumenti utilizzati per raccogliere le notizie ci sono quelli che servono a diffonderle – il mondo del cronista è fatto di telefoni, telescriventi, macchine da scrivere o computer. I cambiamenti di questi elementi iconografici dipendono soprattutto dal progresso tecnologico ma, [..] La scelta dello strumento può essere un’indicazione della personalità del cronista e dei suoi valori” (idem, p. 52).
Altri aspetti iconografici, divenuti soggetti fondamentali del genere, sono “i cronisti ubriachi che giocano a poker e fumano sigari o sigarette […] L’alcool in particolare è una presenza frequente [mentre] le sigarette vengono utilizzate come simboli di durezza e indipendenza e quando fumate dalle croniste, danno una indicazione di virilità nella loro scelta professionale” (idem, p. 52-53).
Gli intrecci si incentrano sulla rappresentazione del giornalismo come mestiere: l’inchiesta, la caccia allo scoop dove agiscono i vari tipi di giornalista. I luoghi vengono ricostruiti quasi sempre “con maniacale senso di autenticità” […] Per questo nel tempo la tipologia stessa dei luoghi in cui il NM [Newspaper Movie] è prevalentemente ambientato non varia di molto. Lo scenario per eccellenza è quello urbano, e gli spazi fisici più ricorrenti sono prevalentemente interni: tipografie, sale stampa, redazioni, uffici del direttore” (E. Dagrada, Lindau, 1994, p. 27).
Non mancano i simboli che contraddistinguono questo genere: la prima pagina, il premio Pulitzer, il lettore. Infatti “ogni giornalista, a seconda del modello professionale a cui aderisce, scrive per uno specifico modello di lettore: malvagio e colpevole quello del giornalista yellow; buono e innocente quello del giornalista crusader” (idem, p. 28).
Conclude infine Elena Dagrada: “Con il western il cinema americano si è visto affidare quasi istituzionalmente il compito di raccontare un pezzo della propria storia nazionale, e di trasformarla in leggenda. Forse, con il NM, è accaduto lo stesso per un altro, glorioso pezzetto di storia statunitense: la nascita e il consolidamento del Quarto potere. Con una differenza sostanziale: diversamente dall’epopea western, cinema e stampa esistono contemporaneamente, e hanno radici comuni. Negli Stati Uniti, infatti, il cinema nasce a New York verso la fine del secolo [1800], contemporaneamente allo story journalism, il giornalismo più popolare, che prende subito in prestito dal cinema la scoperta del potere che l’impatto visivo abbinato al racconto ha sul potenziale lettore/spettatore. […] Dal NM emerge un modello globale di giornalismo che deve essere fatto come si fanno i film. Un giornalismo più narrativo che riflessivo, che informa senza mai rinunciare al mordente del racconto, e che si preoccupa di coinvolgere il lettore emotivamente, più e prima che interessarlo intellettualmente” (idem, p. 30-31).
Moltissimi, come si è detto, sono i film di questo genere. Ne richiamiamo qui solo alcuni fra i più noti rimandando per la trama ai Dizionari generali di Morandini o Mereghetti o ai tre testi inizialmente citati.
Il giornalista crusader è ben rappresentato dal notissimo Tutti gli uomini del Presidente (1976) di A. J. Pakula e dal recentissimo Good night and good luck (2005) di G. Clooney. Al contrario L’asso nella manica (1951) di B. Wilder è un chiaro esempio di giornalismo giallo. Si diversificano i due cronisti mondani di Accadde una notte (1934) di F. Capra e di Piombo rovente (1957) di A. Mackendrick, il primo squattrinato e appena licenziato spera in uno scoop ma è vinto “dall’amore”, il secondo “esercita un incredibile potere su migliaia di lettori che influenza con la sua cronaca di scandali e pettegolezzi sugli artisti” (Lindau, 1994, p. 128). Un commentatore televisivo è descritto in Quinto potere (1976) di S. Lumet mentre Talk radio (1988) di O. Stone fa perno su un conduttore radiofonico a telefono aperto. Non mancano le donne giornaliste come nel recente Il diavolo veste Prada (2006) di D. Franckel in cui si raccontano le vicissitudini di una giovane provinciale che diventa assistente della direttrice di una delle riviste più note di moda. D’ambiente sportivo è il Colosso d’argilla (1956) di M. Robson mentre Salvador (1986) di O. Stone è una pellicola di genere politico/bellico .
Infine L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) di J. Ford è un racconto amaro sulla realtà dei fatti e la loro lettura mitica che dà lo spunto al giornalista di pronunciare la celebre frase: “Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda(print the legend)”, così come Prima pagina (1974) di B. Wilder è “una summa” di sarcastica lucidità satirica sul sogno americano.
Carlo Carotti