Flannery O’ Connor: così Milano la ricorda a cento anni dalla nascita

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di Benedetta Centovalli

 

L’IMPORTANZA DI FLANNERY O’CONNOR
L’importanza di Flannery O’Connor (1925-1964) risiede nell’aver saputo fondere insieme il mestiere e il sapere della scrittura con la sua finalità: raccontare il mistero insondabile della verità.

Ha poco più di vent’anni quando il suo pensiero filosofico e critico si mostra con una lucidità senza precedenti già nei suoi primi racconti: Il geranio, Il tacchino, La lince. Solo una manciata di anni dopo avrebbe saputo del poco tempo da vivere che le sarebbe rimasto per la malattia ereditata dal padre, il lupus eritematoso. A 39 anni, avrebbe lasciato 32 racconti, due romanzi, molte conferenze e tante lettere.

La fascinazione per gli uccelli, per il volo, si lega alla fascinazione per l’infanzia come luogo dove tutto ha inizio, dove tutto è possibile. L’infanzia si lega all’avventura, all’esotico, al fantastico. La sua vita alla fattoria, nella sua Andalusia, a quattro miglia da Milledgeville, dove, scoperta la malattia, si era rifugiata nel 1952 con la madre, sarà rallegrata da 40 pavoni e da tanti altri animali. Vive in quel rifugio protetto, va a messa tutte le mattine e dopo scrive per un paio di ore, poi al pomeriggio passeggia con le stampelle nel giardino circondata dai suoi animali. Qualche volta si spinge altrove per tenere le sue conferenze.

COME NASCE IL MONDO NARRATIVO DI FLANNERY O’CONNOR?
Tutto parte dall’occhio, dal raccontare ciò che si vede, dalla religione come dogma o pregiudizio, dal dettaglio insignificante o fuori posto che illumina la storia, dalla questione razziale in Georgia dove negli anni di Flannery è ancora in atto la segregazione razziale (Il negro artificiale, Punto Omega). Flannery lavora sulla complessità della restituzione della realtà in cui è immersa attraverso quel filtro unico e speciale dell’ironia che si manifesta nell’uso sapiente del grottesco, forma tradizionale della narrativa del Sud, che le consente di aumentare l’effetto straniante delle sue storie, di renderle indelebili e catturare l’attenzione del lettore.

Flannery O’Connor cresce di statura ad ogni rilettura e mostra quando abbia visto lontano e saputo leggere, vedere, nel suo presente il tempo a venire. E soprattutto l’America di oggi. Così vicina a quella che lei aveva raccontato con spietatezza e senza indulgenza nelle sue storie.

LE CELEBRAZIONI DI MILANO
In occasione del centenario della sua nascita il Centro Culturale di Milano, la Cineteca di Milano con la partecipazione della Giorgia College & State University, della Fordham University e dell’Università Cattolica di Milano, con gli editori Minimum Fax e Ares, hanno organizzato, a cura di Benedetta Centovalli, una rassegna internazionale – dal titolo Flannery O’Connor, Il cielo e la polvere. Nel centenario della nascita – di incontri e di proiezioni.

Gli incontri della sezione Flannery O’Connor e la parola si terranno in due pomeriggi (2 aprile e 5 maggio) al CMC (Largo Corsia dei Servi, 2), ospitando studiosi americani (Mark Bosco S.J., Bruce Gentry e Angela O’ Donnel) e italiani (Fernanda Rossini, Alessandro Matone, Francesco Valenti), scrittori (Luca Doninelli, Andrea Fazioli e Romana Petri), editori (Mario Andreose), editor e traduttori (Marisa Caramella e Gaja Cenciarelli), filosofi (Elisa Buzzi).

La sezione Flannery O’Connor e il grande cinema ospiterà al Cinema Arlecchino la proiezione in prima nazionale di Wildcat (USA, 2024, regia di E. Hawke), e le proiezioni di La saggezza del sangue (Wise Blood, USA, 1979, regia di John Huston) e del docufilm Flannery (USA, 2019, di Elizabeth Coffman e Mark Bosco S.J.).

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