Giallo, rosa, ma nero il fondale
Giorgio Scerbanenco, padre del poliziesco italiano d’oggi
di Gianni Brunoro
Nei confronti di Giorgio Scerbanenco ho un personalissimo debito. In quanto – premessa – fin da ragazzetto, sono stato sia un bulimico lettore di fumetti sia un abbastanza assiduo lettore di “gialli”. A causa della prima di queste due faccende, ho contratto precocissimamente una specie di morboso atteggiamento nei confronti di Milano. Ossia: per un bambino di una remota provincia veneta, qual ero io, fra l’altro particolarmente curioso non solo dei fumetti in genere, ma anche di tutto quanto li riguardasse, il fatto di leggere in quasi tutti i miei amatissimi albi che essi provenivano da Milano (pur non essendoci mai stato, sapevo a memoria gli indirizzi di tutte le case editrici!) me ne dava un’idea di città di ogni possibile delizia per quelle creazioni editoriali che costituiscono un mondo dal quale sono sempre stato affascinato. Sicché, per istintiva estensione, Milano era per me un Eden dove chissà quanto avrei voluto risiedere. Milano = Paradiso! Quanto invece ai gialli, in quanto lettore mi ero bensì fatto le ossa sui capolavori di Edgar Allan Poe, passando poi a Conan Doyle e a tanti altri romanzi del tipo “di indagine”, ma poi – mi riferisco agli ultimi anni Quaranta – il Giallo Mondadori mi aveva aperto gli occhi (e soprattutto comunicato il fascino) su quella che solo molti anni dopo avrei saputo chiamarsi l’hard boiled school. Vale a dire morti ammazzati e banditismo imperante, gangster spietati e città violente. Ciò che agli occhi di un adolescente significava integralmente «l’America!». Metropoli del delitto, altro che la paciosa Milano, lindo giardino di delizie sul piano editoriale!
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