Grand Tour: quando l’Italia faceva l’Europa

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Per Goethe bisognava arrivare sino in Sicilia. Perché era la regione che dava senso a tutto il resto del viaggio. Per gran parte dei visitatori le tappe erano Firenze, Roma, Napoli e Venezia. Benché sia per la lunghezza dei tragitti e le inevitabili soste, sia per la progressiva scoperta di altre mete preziose, via via il carnet dei “turisti” del Gran Tour, tra Settecento e ottocento, si fece più ricco.

Gallerie d’Italia, Milano. Mostra Grand Tour. Foto di Carlo Rotondo.

Lo racconta una mostra aperta a Milano, presso le Gallerie d’Italia, la bellissima sede d’arte di Intesa Sanpaolo. Si intitola Grand Tour. Sogno d’Italia da Venezia a Pompei, è aperta fino al 27 marzo 2022 e raccoglie opere imperdibili.

È però un’occasione persa: i curatori l’hanno costruita in modo molto tradizionale, con apparati ridotti al minimo. Con la storia dei tanti personaggi, artisti, collezionisti, aristocratici, popolani, avventurieri e musicisti (compreso un numero cospicuo di donne, spesso straordinarie), con l’aiuto di mappe, anche interattive, con fotografie, video multimediali e un approfondimento su come si vivesse nei secoli passati, così come svelano i quadri esposti, la mostra sarebbe diventata indimenticabile. Peccato, davvero. Perché ogni quadro è uno spunto: per raccontare come ci si vestiva, come si mangiava, come si viaggiava, che cosa si suonava e cantava, come si lavorava. Ogni ritratto l’occasione per raccontare una biografia sconosciuta. Ogni paesaggio lo spunto per un confronto con l’oggi. È rimasto quasi tutto nella penna dei curatori (a parte ovviamente gli apparati delle audioguide e il catalogo).

Ingresso della mostra Grand Tour. Foto di Carlo Rotondo.

Ma già passeggiare tra questi straordinari dipinti di un’Italia che non esiste più è un’esperienza da non perdere. Magari proprio per riflettere sul sacco e la devastazione che ha subito il nostro Paese nel Novecento, tra guerre ed espansione selvaggia di abitazioni, edifici pubblici, infrastrutture e fabbriche.

Certo, non era possibile lasciare Roma selvaggia e integra come a metà Ottocento. Ma certo si potevano fare due cose: pensare alla qualità delle costruzioni (e anche alla loro altezza) nei posti di maggior pregio, a cominciare dal golfo di Napoli. E salvaguardare alcuni paesaggi unici al mondo e oggi irrimediabilmente perduti.

In mostra si cita, per esempio, Tivoli, la cittadina collinare a Est di Roma che in passato, per le sue ville e i suoi resti, ma anche per la sua natura, era un gioiello e oggi è un brutto agglomerato di palazzi (benché alcune ville si siano salvate).

Amorino alata di Antonio Canova. Mostra Grand Tour, Milano. Foto di Carlo Rotondo.

In sintesi: oggi più che mai il ruolo dell’arte e delle mostre che le sono dedicate, soprattutto quando l’intento non è solo ripercorrere movimenti o valorizzare protagonisti, deve essere “sociale”. Una mostra come questa è un’occasione per riflettere sull’attualità, sulla gestione del paesaggio e del territorio (quale tema più attuale?), del patrimonio storico artistico come miniera inesauribile di sviluppo economico e civile. Sì civile, perché la consapevolezza di quello che avevamo e abbiamo perduto, di come sia necessario conservare il passato e il contesto naturale, è una missione di cittadinanza.

Senza contare che, oggi più che mai, si pone un tema di necessità della bellezza. Lo sviluppo selvaggio del capitalismo, lo sfruttamento del territorio, ma anche un’inspiegabile ideologia modernista in architettura che ha contestato e distrutto il senso del bello che per millenni aveva caratterizzato il nostro Paese, hanno reso la nostra vita più triste. Il bello, a lungo considerato una categoria superata, deve tornare una priorità.

François Rude: Giovane pescatore napoletano che gioca con una tartaruga. Mostra Grand Tour, Gallerie d’Italia, piazza della Scala, Milano. Foto di Carlo Rotondo.

C’è però un altro tema che emerge dalla mostra milanese alle Gallerie d’Italia e meriterebbe più attenzione: la dimensione “europea” della comunità intellettuale tra fine Settecento e Ottocento. In questo senso, Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832)Anna Amalia di Brunswick-Wolfenbüttel, duchessa di Sassonia-Weimar-Eisenach (1739-1807) rappresentano una generazione di intellettuali e, nel caso di Amalia, regnanti, per cui la cultura, intesa come ricerca a 360°, costituiva la linfa stessa della vita. Goethe e Amalia amarono l’Italia, che era, a fine Settecento, un Paese in piena decadenza. Ha forse un senso ricordarlo oggi vista l’inedita stima che proprio dalla Germania ci arriva. Per ribadire due cose: quanto abbiamo bisogno di un’Europa unita, in cui si possa circolare liberamente. Quanto prezioso sia l’amore per la cultura per qualsiasi forma di sviluppo.

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