Graphic journalism sulla preistoria
Per chi non lo sapesse o non lo ricordasse, Claudio Nizzi, che da qualche anno si è ritirato in pensione, ma a scrivere attivamente romanzi, è stato uno dei più notevoli sceneggiatori del fumetto: tanto per dire, ha scritto per molti anni le storie di Tex, quando per ragioni di età il suo creatore originario Gianluigi Bonelli smise di farlo. Ebbene, in un recente articolo pubblicato nella rivista Vitt & dintorni, Nizzi ha raccontato un significativo aneddoto: «Quello di prendere gli sceneggiatori sottogamba – ha scritto, rievocando un altro momento importante della sua carriera – rispetto ai disegnatori è un vizio che al Giornalino non hanno mai perso: ne era prova l’eccessiva sproporzione tra i compensi degli uni e quelli degli altri. Di fronte a una mia storia di Larry Yuma completamente muta, il direttore del tempo mi chiese, scherzando fino a un certo punto: “Te la dobbiamo pagare lo stesso?”» Ora, al di là della sua gustosa essenza di battuta umoristica, l’episodio sottolinea un requisito fondamentale del fumetto: il fatto cioè che esso è caratterizzato da due componenti essenziali, la parola e l’immagine. Per cui, mentre è chiaro che una narrazione senza immagini “non” è un fumetto (sarà un racconto, o un romanzo, o altro di simile), nasce invece un problema quando ci si trovi di fronte a una narrazione a disegni, ma senza parole. Ebbene, casi del genere sono sicuramente fumetti ma sono pochissimi, perché quello fatto attraverso i disegni rimane comunque un racconto, ma richiede una notevole difficoltà a monte, proprio da parte dello scrittore di una storia di questo tipo, per far comprendere con chiarezza attraverso la sequenza, la natura e la reciproca concatenazione dei disegni ciò che magari poche parole potrebbero esprimere. È appunto questa necessità di virtuosismo narrativo che rende alquanto rare nel fumetto le storie “mute”, in quanto assolutamente prive di parole.