L’Abbaglio: Andò racconta un altro sbarco dei Mille

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Ideali nazionalistici e disinganno è il crinale sul quale corre l’ultimo film di Roberto Andò, L’Abbaglio
di Carlo Rotondo

La trama è costruita attorno a una vicenda accennata da un cronista in presa diretta come Giuseppe Cesare Abba, uno dei mille e ripresa da Leonardo Sciascia nel racconto “il silenzio”; un episodio apparentemente marginale, ma in realtà decisivo per la presa di Palermo da parte di Garibaldi.

LA SPEDIZIONE
All’alba del 6 maggio 1860, la partenza della spedizione dallo scoglio di Quarto e dalla spiaggia della Foce a Genova, vede la partecipazione di un universo variegato per età, origini ed estrazione sociale, non certo un esercito disciplinato e addestrato. il più giovane ha undici anni, Giuseppe Marchetti, arruolatosi tra i volontari insieme al padre, e insieme a lui molti altri adolescenti e giovani ventenni; il più vecchio, Tommaso Parodi di sessantanove anni che ha già combattuto con Napoleone; poco meno della metà proviene dalla Lombardia appena liberata, circa 300 da Liguria e Veneto; impiegati, commercianti, studenti universitari, avvocati, tre preti, qualche bersagliere salito a bordo clandestinamente a Talamone, la maggior parte con un elevato livello culturale. Unica donna a partire, Rose Montmasson, moglie di Francesco Crispi, futuro Presidente del Consiglio, alla quale se ne aggiunsero altre lungo il cammino. Tra i pochi a possedere una vera pratica militare e consuetudine all’uso delle armi in battaglia, i carabinieri del corpo volontario di Genova che furono sempre utilizzati in prima linea.

Al reclutamento affidato a Toni Servillo nelle vesti del colonnello Vincenzo Orsini, si presentano anche due improbabili volontari; Salvatore Ficarra, alias Domenico Tricò, interessato a scroccare un passaggio in Sicilia e potersi ricongiungere alla fidanzata e Valentino Picone ovvero Rosario Spitale anch’egli siciliano, in fuga da Venezia dove è ricercato con l’accusa di barare al gioco delle carte.

DAVVERO IN MILLE?
Il numero preciso dei partecipanti non è un dato certo, l’elenco ufficiale, pubblicato nella gazzetta del Regno d’Italia, parla di 1089 volontari sbarcati a Marsala, ma secondo altre fonti partirono almeno in 1150 e durante il viaggio  l’abbandono dell’impresa da parte di un piccolo gruppo di mazziniani, contrario alla monarchia e una pattuglia in avanscoperta nel regno pontificio per incoraggiare la sollevazione popolare. La missione doveva apparire a molti davvero velleitaria, oltre che per la traversata delle acque del Tirreno presidiate dalle navi borboniche, soprattutto perché ad aspettare le camicie rosse in Sicilia, c’erano almeno 30.000 tra mercenari svizzeri e bavaresi e soldati borbonici, tutti militari di professione, addestrati e dotati di armi in buono stato, il cui importante punto debole erano i comandanti, anziani e con una scarsa esperienza di combattimento in guerra, se non la lotta al brigantaggio dell’entroterra.

Le schiere dei volontari durante la marcia lungo la penisola si ingrosseranno fino a raggiungere 50.000 unità e a rinforzare le proprie dotazioni con armi e cannoni, ma intanto nelle prime ore dopo lo sbarco erano poco più di 1.500, grazie all’adesione dei primi volontari siciliani, mal equipaggiati con vecchi fucili di prima del ’48, venti cartucce a testa e pochi cannoni senza affusto che in pochi sapevano usare. Malgrado ciò, fu loro la vittoria della prima fondamentale battaglia a Calatafimi contro tremila soldati a cavallo dell’esercito borbonico, utilizzando, vista la scarsa potenza di fuoco dei fucili in dotazione, la tattica garibaldina dell’assalto alla baionetta (liberata dalla pagnotta di pane che usavano infilzare durante le marce). Il primo morto della spedizione ci fu a calatafimi e si chiamava Desiderato Pietri, imbarcato sul Piemonte per vendere da bere ai volontari e insieme a lui a Genova un certo Bartolomeo Barchelli che campava col gioco dei bussolotti!

IL VIAGGIO
Durante il viaggio sui piroscafi diretti in Sicilia, furono creati dei veri laboratori per insegnare ai più giovani, fino al giorno prima chini sui banchi di scuola, come costruirsi da soli le pallottole con la polvere da sparo.

All’arrivo e con le prime scaramucce e cannoneggiamenti sulla spiaggia di Marsala, i due intrusi, spaventati e per niente interessati agli obiettivi della missione, trovano il modo di scomparire e darsi alla macchia.

Arrivati alle porte di Palermo, i volontari sono tallonati dal colonnello svizzero von Mechel che guida 3000 ussari del terzo Reggimento, un corpo d’élite che potrebbe, insieme alle truppe borboniche presenti a Palermo, stringere in una morsa le camicie rosse; Garibaldi escogita una manovra diversiva e chiede a Orsini di sacrificarsi in una missione pressoché suicida e gli ordina di marciare con una finta compagnia, composta da qualche centinaio di uomini, prevalentemente feriti e malati, in direzione di Corleone. Al gruppo, tornano a essere aggregati, costretti loro malgrado, anche Tricò e Spitale catturati poco prima, pena la fucilazione per diserzione. Il colonnello von Mechel, pur essendo un giovane ufficiale, e tra i più capaci, cade nella trappola e insegue l’Orsini, credendolo Garibaldi

A PALERMO
Le 800 camicie rosse col supporto di 3000 volontari siciliani insorti, entrano a Palermo e vi trovano 25.000 soldati dell’esercito napoletano, relativamente tranquilli dal credere che von Mechel stesse inseguendo Garibaldi sule montagne. Con l’aiuto della  popolazione erigono barricate e assediano 12000 soldati borbonici asserragliati a palazzo reale e guidati dal generale Ferdinando Lanza; intanto von Mechel entra nell’abitato di Corleone che avendo dato assistenza ai Garibaldini al seguito di Orsini sarà per ritorsione incendiato e i volontari messi in fuga verso il paese di Sambuca. Analoga azione di saccheggio, violenza e devastazione fu condotta nell’abitato di Partinico, dove per gli abitanti seppero vendicarsi sulle truppe napoletane.

Un’ulteriore strage sarà evitata da un atto di coraggio di Tricò e Spitale che rivelano a von Mechel che le camicie rosse sono ormai entrate a Palermo e sotto la minaccia della vita, ve lo conducono per dimostrare la loro buona fede. Ma a nulla servirà la corsa delle truppe borboniche verso la città dove ormai è stata raggiunta una tregua e concordata la ritirata dei soldati.

Alcuni anni dopo, Orsini rimasto ammirato dal gesto di Tricò e di Spitale e certo del loro riscatto morale ne cercherà le tracce a Palermo, anche perché in qualità di componente della Commissione istituita allo scopo, era incaricato di redigere l’elenco ufficiale dei volontari sbarcati a Marsala. Ad attenderlo una sorpresa da finale della commedia dell’arte come l’abbaglio del quale furono vittima quei Mille partiti da Quarto che avevano creduto e combattuto per la liberazione dell’Italia tutta dal tiranno.

Carlo Rotondo

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