L’informazione su internet
L’informazione in Rete sospesa tra futuro e Medioevo
Internet è, innanzitutto, un fattore socio-culturale che modifica, su nuove basi, l’informazione e, quindi, la percezione del mondo in cui viviamo e la nostra possibilità-capacità di interagire con gli altri senza più le intercapedini che fungevano da barriere invalicabili nel dialogo tra saperi e civiltà; questo muro fortunatamente sgretolato, però, svolgeva anche un ruolo di protezione rispetto all’erosione e alla deformazione delle conoscenze su cui si basa la nostra percezione del passato, del presente e la legittimazione dei nostri sistemi sociali, economici e politici.
Questa premessa per dire:
• con Internet l’informazione non sarà più la stessa;
• le grandi opportunità possono anche trasformarsi in rischi tragici di regressione, motivo per cui abbiamo scomodato i termini “futuro” e “Medioevo” volendo, e scusate la banale semplificazione, caricare di valore positivo la parola futuro e di negativo il riferimento al Medioevo, pur sapendo che non è così;
• uso il termine “futuro” perché oggi, nella vita di tutti i giorni, la gran parte della popolazione, in particolare italiana, ancora non se ne rende conto, ma il cambiamento di abitudini del popolo degli uffici diventerà presto un comportamento di massa. Per questo, però, dobbiamo attendere almeno un’altra generazione.
Il boom e lo sboom di inizio millennio hanno falsato la percezione e il dibattito e soprattutto orientato la discussione su livelli estremamente superficiali:
• Internet è la fine dei giornali di carta? Di tutto quello che è di carta: libri, etc?;
• siamo entrati nell’èra della New Economy? Ma in cosa consiste: forse in quello che volevano farci credere, vale a dire che l’economia non è più reale ma virtuale, che non bisogna più fare utili ma creare valore virtuale?;
• vivremo in un mondo virtuale?;
• il mutamento di abitudini è prevalentemente un problema tecnologico?
Tutti luoghi comuni da spazzare via:
• perché internet non è un approdo, bensì uno strumento, un mezzo di comunicazione;
• non è, in sé, un mutamento sociale;
• non è nemmeno, in sé, un fattore culturale;
• ed è, certamente, meno virtuale della letteratura, del cinema, della pittura (da quella rupestre in poi), di tutte le metafore che ci hanno aiutato a comprendere l’esistenza da quando abbiamo cominciato a reggerci su due piedi e ad avere il dono dell’intelletto;
• il radicamento, invece, è un fattore socio-culturale paragonabile all’altra grande rivoluzione della comunicazione che è l’invenzione della strada ferrata e dei treni nell’America di inizio Ottocento. Non era importante, in sé, la rivoluzione tecnologica, era fondamentale convincere la gente di quanto fosse importante, economicamente, socialmente ed intellettualmente, andare da una costa all’altra. Il fattore tecnologico, paradossalmente, è secondario: primario è quello socio-culturale, comportamentale. Il grande salto di Internet è infatti avvenuto quando i “contenuti” trasferiti attraverso il mezzo di “comunicazione” Internet sono passati dagli ingegneri agli operatori “culturali” dei vari settori. In Italia, ancora quattro o cinque anni fa il mondo di Internet definiva genericamente “contents” tutto quello che veniva inserito dentro ad oggetti tecnologicamente generati. I creatori di contents erano i sottoscalisti del mondo di internet, quelli che nell’esercito napoleonico erano “le vivandiere”. Quindi non era importante il messaggio ma il modo in cui questo veniva trasferito. Come se vivessimo nel Michele Strogof di Jules Verne: non è importante il messaggio che lo zar invia ma è importante come il messaggero raggiunge la sua destinazione.
Per millenni le Civiltà si sono evolute nella misura in cui era loro concesso dallo sviluppo della parola, della scrittura e della lettura: tre codici che consentono all’uomo di interagire nel tempo e nello spazio. L’accesso più o meno facilitato a questi tre codici ha permesso accelerazioni e, in alcuni momenti della Storia, rallentamenti del processo di mutamento connaturato all’uomo ed alla sua esistenza. Il controllo di questi tre strumenti era alla base dell’esercizio del potere. I messaggi politici, le comunicazioni personali e sociali, le informazioni commerciali dovevano viaggiare da un luogo all’altro, mentre la conoscenza, la ricerca e i saperi dovevano essere custoditi nel tempo e classificati per essere poi arricchiti e trasferiti alle generazioni a venire. Direzionare i flussi della comunicazione significava orientare le forme e le espressioni del potere. Il primo processo di democratizzazione nei rapporti sociali, non a caso, è stato determinato dall’avvento della stampa, che ha inciso sul controllo della conoscenza allentando la morsa plurisecolare esercitata, in Occidente, dai poteri forti: Chiesa e Impero. Gutenberg ha offerto le basi per una prima diffusione di massa del sapere e ha contribuito ad aprire le società dell’epoca ai nuovi confini e alla circolazione delle merci. Lì vanno cercate le radici della globalizzazione.
Nella storia dell’uomo, quindi, noi sappiamo quanto sia importante il rapporto tecnologia-comunicazione-potere. Ma in questa sequenza: la tecnologia consente l’evoluzione della comunicazione nei suoi aspetti soprattutto quantitativi e questo diventa fattore di controllo, di potere. Non è il possesso dei mezzi di comunicazione che coincide con il potere. È il controllo dei mezzi di comunicazione che consente di creare i presupposti per orientare, in un sistema democratico – ma non solo in questo, visto che la comunicazione scritta, verbale, visiva era alla base di tutte le dittature –, l’opinione pubblica. Si crea, quindi, quello che, con un termine orribile ma efficace, è stato definito: brodo di cultura. Tanto che oggi potremmo dire: “Non siamo più quello che mangiamo” ma “siamo quello che vediamo”, quello che ascoltiamo.
Abbiamo detto, inoltre, “democratizzazione del sapere”. Ma ci renderemo conto che il sapere, trasformato in “comunicazione”, può diventare la peggiore macchina dittatoriale. Vedi i sistemi utilizzati da Göbbels per l’ascesa e il radicamento del nazismo, ma anche quelli adottati in Unione Sovietica e, in particolare, nella Cina comunista, dove tutto il mito di Mao Dzedong è stato creato e sorretto dalla comunicazione di massa verbale e visiva: la Rivoluzione culturale non è altro che un’immensa campagna di comunicazione costruita per slogan.
Ma seguitemi ancora nel ragionamento:
La storia dell’uomo è sempre stata scandita dalla introduzione di strumenti che hanno consolidato i modi di vivere e tracciato i percorsi di civiltà. Così è stato da quando l’uomo era nomade e cacciatore. Comunicazione e Innovazione sono sempre stati propulsori e bussola di orientamento. È solo mutato il passo con il quale i mutamenti si sono radicati nel corso della Storia: dai graffiti nelle caverne al linguaggio alla scrittura alla stampa i passaggi sono stati sempre meno diluiti nel tempo, al punto che è stato sufficiente solo poco più di un secolo per portare l’intera umanità nell’èra del cyberspazio. Dal telegrafo di Morse del 1838 alla nascita della Arpanet, incubatore di Internet di fine anni Cinquanta, dal transistor alla fibra ottica e ai satelliti che hanno reso la Terra più piccola, ci rendiamo conto di aver fatto molta strada e percepiamo di averne ancora tanta davanti: l’orizzonte si sposta sempre più in avanti.
La storia dell’uomo è anche la storia delle sue conquiste, delle sue acquisizioni, dell’organizzazione sistematica delle sue conoscenze, che hanno guidato e anticipato ogni avanzamento sociale ed economico. Il principio si fondava sull’accumulazione progressiva e lineare del sapere, che veniva custodito secondo le disponibilità tecniche dell’epoca, per essere trasmesso alle generazioni successive. Per millenni, abilità, manualità, saggezze, sono state trasferite da una generazione all’altra. Il padre trasmetteva al figlio, il maestro al discepolo e così via. Oggi questo meccanismo viene interrotto: per la prima volta sono i padri a chiedere spiegazioni ai figli. Qualcosa di straordinario sta realmente accadendo.
La comprensione dei meccanismi di cambiamento e la partecipazione attiva alle loro dinamiche diventano strategici per la crescita ed il benessere della nuova società. La quantità di conoscenze oggi disponibili è immensa, tanto immensa che nessun individuo e nessuna organizzazione può controllarne più di una piccolissima frazione. Il sapere diventa ancor più strategico di quanto lo sia stato nel passato. È un sapere di tipo nuovo, dinamico, in continua evoluzione che deve trovarci preparati.
Sopravviveremo al XXI secolo se impareremo ad imparare. Prima che nascesse Internet, qualsiasi forma di sapere era vincolata alla “conoscenza” di ciò che era avvenuto prima. Per approfondire un fatto nel tempo era necessario disporre di un archivio che contenesse materiale cartaceo difficilmente riproducibile e trasportabile: quindi, non solo non era agevole la consultazione, ma questa richiedeva uno spostamento a volte costosissimo, a volte impossibile. Oggi tutto questo non è più un problema, Internet abbatte qualsiasi barriera fisica e di spazio. Inoltre, in passato, l’ultimo evento, per essere raccontato e compreso, spesso richiedeva la rinarrazione dei fatti avvenuti in precedenza. Oggi basta un link, un rinvio a quanto è già stato scritto, con un abbattimento di costi e tempi di realizzazione. Nell’èra di Internet un lavoro è fatto per sempre: le duplicazioni sono un fattore automatico, mentre prima le duplicazioni erano la quotidianità che, opprimendo la scorrevolezza del lavoro, finivano per ostruirne l’evoluzione. Spaziare tra campi di sapere paralleli, tra le fonti originali, oppure tra le fonti alternative, in passato era un compito quasi proibitivo.
L’altro elemento che rende Internet rivoluzionario, dal punto di vista dell’organizzazione del sapere, è l’indicizzazione di qualsiasi cosa. Sia che si tratti di un testo, sia che si tratti dell’universo, tutto è facilmente individuabile ed accessibile, in tempo reale, solo che si impari a fare una ricerca più o meno sofisticata. Il tutto senza perdite di tempo e di denaro. Prendendo in prestito una definizione del futurolo Jeremy Rifkin, possiamo affermare che stiamo passando dalla “società del possesso” a quella “dell’accesso”. Internet è il superamento dell’elemento chiave delle società non solo capitalistiche ma anche agricole e mercantili che fino ad oggi abbiamo conosciuto: non è più fondamentale possedere le cose, è determinante sapervi accedere. Nell’epoca della comunicazione globale in rete, la differenza non è più tra chi possiede e chi non possiede, ma tra chi conosce e chi non conosce, tra chi sa accedere alle informazioni che portano alla conoscenza e chi non vi sa accedere. Ora, finalmente, si valorizza appieno la frase contenuta in una famosa canzone di Giorgio Gaber: “La libertà è partecipazione”. Per partecipare occorre accedere all’informazione, per accedere all’informazione occorre conoscere il linguaggio e le regole.
Ecco il punto chiave: la rivoluzione di Internet non va confusa con involuzione o anarchia della comunicazione. Internet, appunto, è prima di tutto partecipazione. E a questo punto diventano chiari i timori che ci possono assalire e il senso di vertigine che può dare la Rete. Essendo Internet un luogo anarchico per definizione, il pericolo viene dall’abbandono della sequenzialità dei processi mentali così come li abbiamo fino ad ora concepiti senza, del resto, avere alternative valide:
Stato di non conoscenza → apprendimento → stato di conoscenza
Distanziarsi da questo processo, su Internet diventa pericolosissimo. Il paradosso di Che Guevara quando enunciava: “Chi sa, sa; chi non sa è un capo”, in Rete può essere l’origine di universi paralleli da cui sarebbe poi impossibile districarsi. Se non esistono saperi e memorie condivise si entra in una babele mentale che sicuramente mina la stabilità di dialogo e, comunque, sarebbe una drastica rottura con la tradizione filosofico-politica che, dall’Antica Grecia ad oggi – ma di cui si trovano espressioni anche nella Bibbia –, ha portato alla costruzione di coesistenze civili tra gli esseri umani.
Non è un caso che i primi ad accorgersi e ad utilizzare appieno le potenzialità di internet sono:
• i terroristi internazionali, che hanno compreso come sia facile tenere in scacco il mondo intero attraverso Internet;
• i conservatori e organizzatori del sapere, vale a dire le biblioteche e i bibliotecari, che hanno compreso come, attraverso Internet, si possa, al contrario, accumulare, radicare e far interagire la conoscenza sia in termini geografici sia in termini disciplinari.
Perché attraverso Internet si costruirà il futuro e si darà conto del passato. Internet è il luogo per eccellenza
• della memoria,
• della sedimentazione della conoscenza,
• della coscienza collettiva,
• è il luogo dove si costruiranno le legittimazioni.
Bastano poche generazioni per mutare il volto di una civiltà, anche se questa non muore, rimane sopita e cova sotto la cenere per riemergere quando si creano le condizioni. Non a caso il Rinascimento ha coinciso con il ritrovamento e riscoperta dei classici e la stampa a caratteri mobili è nata quando i tempi erano maturi affinché ciò avvenisse. Internet diventa fondamentale, vitale perché è l’imbuto entra il quale progressivamente passerà la conoscenza, la memoria e la capacità di elaborare le esperienze.
La situazione è ancora più complessa che nel passato quando le culture si formavano si evolvevano, si proteggevano e, al declino e all’oblio delle une, corrispondeva spesso lo sviluppo e l’auge delle altre, ora noi viviamo in un periodo globale dove l’osmosi tra civiltà è, in prospettiva, totale. Ciò significa che anche le crisi sono globali e le crescite sono globali, la cultura risente degli stessi meccanismi dell’economia.
Il giornalismo e la storia nei secoli si sono dati regole scientifiche, etiche e deontologiche, filtri che consentono di colpire o quantomeno di svelare tutto quanto è truffa, controinformazione, contraffazione. Su Internet questo non è ancora accaduto e storie assolutamente inattendibili proliferano e si sviluppano senza sosta ingenerando mondi realmente paralleli, realmente virtuali. Per questo è necessario un codice etico e Internet non può essere abbandonato alla creatività di chi lo ha scambiato per un bar sport. Quindi internet che dicevamo non essere virtuale. Deve essere invece lo strumento di radicamento e di conservazione della realtà attraverso la memoria. Internet è il luogo dove si assomma tutto il nostro essere. Non può quindi essere lasciato a sé.
Pier Luigi Vercesi