Quel che mi ha dato Harold Foster
In occasione di vari incontri con il pubblico avuti nel corso degli anni per la presentazione di opere o situazioni simili, mi è capitato più volte che mi venisse chiesto – specie da parte di lettori giovani – come avessi intrapreso quella attività, ancora oggi inconsueta, del critico di fumetti.
E mi è stato facile rispondere, trattandosi di una faccenda che ha pur sempre avuto una “prima volta” e delle successive tappe concrete (articoli, ovviamente), con una evoluzione, degli sviluppi, e via discorrendo.
Meno facile è invece rispondere a una domanda diversa, che magari pubblicamente non mi è mai stata rivolta ma che da solo ho rivolto a me stesso: ossia “come” si sia andato formando il mio gusto estetico riguardante i fumetti (e nutro il fiero sospetto che una domanda del genere se la sia rivolta qualunque altro critico di fumetti, e magari addirittura anche certi semplici lettori). Sicché, nel corso degli anni, ho senza dubbio individuato vari elementi – e contestualmente, vari momenti cronologici successivi – di risposta alla domanda.
Sulla quale, comunque, ho avuto sempre e da sempre una specie di punto di riferimento: il mio disegno realistico più amato è sempre stato quello di Hal Foster, anzi di «Harold R Foster», se devo essere zelante. E chiarirò più avanti il perché della precisazione.
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